Greison Gabriella - 2018 - Einstein e io by Greison Gabriella

Greison Gabriella - 2018 - Einstein e io by Greison Gabriella

autore:Greison Gabriella [Greison Gabriella]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Science, Physics, General, Fiction, Biography & Autobiography
ISBN: 9788893818780
Google: o8BsDwAAQBAJ
editore: Salani
pubblicato: 2018-09-18T22:00:00+00:00


capitolo mc²

di quando senti ribollire qualcosa

Mercoledì, 5 febbraio 1902

Kać, Serbia

ore 11

Era mercoledì, il 5 febbraio 1902 per l’esattezza. Mi trovavo ancora a Kać, Lieserl aveva nove giorni di vita, e io la osservavo con curiosità. Durante tutto il giorno, per la verità, facevo solo quello. La guardavo. Mia madre e la governante di casa facevano il resto. Avevo diversi problemi fisici e non riuscivo a muovermi granché. Il parto era stato duro, non pensavo che un parto potesse essere così duro. Sui manuali di anatomia e di scienze non c’erano queste informazioni. Chissà perché. Eppure era stato tremendo, avevo pensato più volte che avrei preferito morire piuttosto che stare così male. Per come ero fatta io, che mi sentivo sempre un po’ a disagio in ogni contesto, una situazione su cui non potevo avere nessun controllo era intollerabile. La mia regola di arrivare sempre in anticipo in quel caso non era applicabile. Non c’era un orario di appuntamento, avrei dovuto soltanto capire il mio corpo, ascoltarlo. Io avrei saputo ascoltare un professore di fisica atomica, le oscillazioni di un pendolo in una stanza buia, persino una camera a nebbia di Wilson, bendata e a testa in giù. Ma il mio corpo, no, non sapevo proprio come ascoltarlo. Non avevo mai avuto un buon rapporto con il mio corpo, per distrarmi riuscivo solo a pensare alla scienza. E così, fra calcoli esoscheletrici, congetture addominali, teoremi anatomici, alla fine ce l’avevo fatta. Ero riuscita a fare uscire da me un’altra me. Era una cosa meravigliosa.

La guardavo, la guardavo e calcolavo. Calcolavo che se fosse cresciuta di mezzo centimetro ogni cinque giorni, in tre mesi e mezzo avrebbe raggiunto il metro. Non poteva essere. Allora ricalcolavo, e così passavo il tempo. Oppure portavo la mia ‘altra me’ dentro nuovi universi immaginari: creavo castelli mentali, persone con cui farla vivere, progettavo intere città dove crescere insieme. In quel periodo le lettere di Albert erano piene di stanchezza. Era triste, non sapeva come trovare lavoro e come uscire dalla situazione di anonimato in cui ci trovavamo. Teatrale com’era, lui, avrebbe certo voluto raccontare tutto a tutti. Ma non poteva, lo sapevo bene. La colpa era in parte della sua famiglia e in parte della società in cui vivevamo, le cui regole noi avevamo deciso da tempo di non accettare. Noi non facevamo parte dell’inferno, non lo alimentavamo, perché non ci adattavamo ai suoi dogmi. Sapevo che lui stava cercando una soluzione, o almeno ci provava. Non rispondevo frequentemente alle sue lettere, anch’io ero preda della stanchezza. E in casa c’era molta tensione per il fatto che Albert non si era mai fatto vedere. I miei genitori avevano preso la questione di petto, non avevano mai capito il modo in cui io e Albert vivevamo la nostra relazione. E io non capivo loro. Proseguivo nella mia bolla, quella che ci eravamo creati insieme, e cercavo di non farmi distrarre. I miei volevano influenzarmi, lo so, lo sapevamo entrambi, ma dovevo tenere duro. Anche se ogni tanto cadevo.



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